Gabriele Zarotti

Metastasis.

 

Corre la metro e  un pedicelloso mi fissa in trance,

mentre smanetta tarantolato sugli smartphone, 

con la sua  scimmia sulla spalla.

All’angolo di una via del centro l’uomo dalla testa di serpente 

violenta una bambina tra l’indifferenza di ombre 

che avanzano fissando la punta delle scarpe,

mentre apocalittiche scritte sui muri  urlano indelebili paure.

Più avanti due animali calano le braghe 

e cagano beffardi  davanti a un bar,

dove una cameriera recita sillabando il menù a un eschimese.

Sul marciapiede uno sceicco gioca a morra 

col cinese di una lavasecco che si è appena quotato in Borsa,

mentre nell’ospedale fuori porta muore dimenticato l’ultimo degli operai.

Poco distante un alienato fa a pezzi la famiglia e grida “libertà”,

mentre un terrorista folgorato sulla via di Damasco  molla il kalashnikov e prende 

la via di Compostela.

Sdraiarti sulle biancastre guglie diavoli con sembianze di angeli, cristi e madonne 

fanno testa o croce per l’ultima anima in cerca di paradiso.

 

 

Corre il destino  alla velocità della ragnatela digitale.

La campana ha smesso di suonare e l’orologio fatica a stargli dietro.

Il mega schermo della grande piazza mostra h24 luridi ai confini dell’umano 

che schizzano saliva mentre si scannano in estenuanti ring-show 

senza esclusione di colpi.

Infoiate baldracche della politica che urlano con occhi di fuoco 

e schiumano livore come possedute dal demonio.

Schiere di prezzolati sacerdoti del capitale e servili pennaioli 

che fanno scempio di decenza e dignità senza tradire la minima vergogna. 

Mentre, in disparte, l’annoiato anchorman biascica un chewing gum 

e mima col pugno chiuso una masturbazione.

 

 

Corre il destino del mondo senza perché,

e nelle loro tane frotte di coatti consumano inutili esistenze 

in album dei ricordi,  nell’attesa spasmodica di un like.

Solitari naviganti sfidano i flutti  e scambiano criptomonete per  pochi 

istanti di criptopiacere; altri rincorrono infolarmati scampoli di sapere fra le incerte 

pagine dell’enciclopedia globale; o fanno naufragio nell'arido mega centro commerciale del 

pianeta.

Ovunque masse obese dal benessere si fanno di paranoia  nelle loro latrine, 

mentre in testa cortocircuitano  le ultime sinapsi. 

Nel frattempo famelici mercati  come divinità pagane reclamano le loro vittime.

Nella fatiscente Europa  pletore di allineati babbei

si baloccano con le nostre vite ormai senza passione.

Nella stanza ovale un potente sotterra il grande sogno.

A est si inaugura l’autostrada dell’impero che verrà.

 

 



Corre il destino del mondo senza dove 

in culo a ogni illuministica ragione e sentimento,

e rende i cieli dello stesso grigio da Oodaaq al Polo Sud.

La poesia non ha più ali, 

la musica ripete stanca monotoni refrain.

E io leggo nei tuoi occhi spenti e inconsapevoli

che è finito il tempo dell’indignazione. 

Leggo nelle facce della gente come me

che non c’è più  speranza nella speranza.

E vorrei una volta ancora tuffarmi giù  nella profondità del mare,

superare i confini delle emozioni,

e disperdere ogni mia cellula nell’universo  in questa notte di diamanti.

Ma vedo Pynchon a cavallo dell’arcobaleno che sghignazza come il gatto di Alice, 

mentre comincia l’ultimo count down.

 

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